I racconti di Zelig 3

7 Lug

 

Ancora un capitolo dei “racconti scellerati” di viale Monza, per chi riesce a tenere acceso il computer sotto l’ombrellone…
 
UNA SERATA IN VIALE MONZA 3 (di Alex)
«Era meglio se stavi zitto»… «Come comico fai schifo»…«Scrivi delle cose che fanno cagare»… Le frasi fendono l’aria, cristallizzano le reazioni: l’atteggiamento da bullo di chi le pronuncia, la mediocre imitazione di chi cerca di adeguarsi, il “trattenersi” di chi è colpito e non può replicare con un sonoro vaffanculo (come sarebbe giusto e dignitoso fare) perché ha paura di essere classificato come diverso, come quello che rema contro.
Anche il più blando anticonformismo rischia di metterti sotto i riflettori che indicano “quello che si sta rovinando con le sue mani”.
Qua in viale Monza 140 prevale l’umorismo distruttivo. Sul palco si alternano vari stili, fuori dal palco ogni azione deve avere qualcosa di offensivo, deve demolire chi si ha di fronte. Succede quando si è in gruppo e le cose vengono dette ad alta voce, altrimenti prevale il sussurro e, forse, qualche atteggiamento meno finto.
Comunque bisogna abbozzare: che nessuno si mostri offeso, mostrarsi offeso (può darsi) mette fuori dal gruppo.
Che senso ha questa goliardia fuori stagione? Forse abbiamo fatto brande e forse imposto ad altri di farle, nei tempi lontani del servizio militare. Sono volati gavettoni. Le abbiamo date e le abbiamo prese. È passato del tempo. Li abbiamo passati già tutti i riti di iniziazione a scuola, con gli amici, sul lavoro. Perché dobbiamo ripeterli in questo posto, gestito da cinquantenni un po’ grigi, dove veniamo per qualcosa che dovrebbe avere a che fare col gioco?
Uno con cui siamo quasi amici mi dice qualcosa di divertente. Rido di gusto, con un’accelerazione secca che sovrasta ogni altro brusio sommesso del bar/chiesa. Non resisto, la risata torna su, esplode di nuovo, felice nella sua stupidità.
Vengo fulminato da alcuni sguardi che sembrano voler dire: «Come ti permetti? Ma sei matto a ridere in quel modo?» Anche il quasi amico è un po’ in imbarazzo: lusingato dalla mia reazione, preoccupato per aver violato il tabù della risata spontanea basata su una battuta che non offende nessuno.
Intanto passa uno dei pezzi da 90. L’attenzione si sposta su di lui così come un passeggero viene schiacciato verso il finestrino quando l’auto prende una curva a velocità troppo elevata.
Il pezzo da 90 si ferma a parlare con una ragazza… passa un minuto… «Ah, ah, che stronzo!» lo sento esclamare felice.
Quella parola viene usata con una soddisfazione quasi erotica da quelli che hanno un certo potere qua dentro. Viene degustata come si fa col vino.
Si vantano di essere s… è la loro metafora preferita. L’identificazione con qualcosa di così schifoso (se si pensa all’oggetto da cui deriva) la dovrebbe dire lunga sul carattere di certa gente, anche su una certa loro onestà d’intenti.
Si compiacciono di essere stronzi, è uno status symbol, un punto d’onore. Ma al di là delle parole, presto ognuno di noi assaggerà qualche brutto tiro,  qualche tiro meschino. Sono così come sono, l’hanno dichiarato più volte, e dobbiamo aspettarci di essere trattati male.
Tanto torniamo tutti, forse più veniamo trattati male più torniamo, qua in viale Monza 140, sotto il livello del manto stradale, in cui andiamo dopo aver tirato un respirone come se andassimo in apnea…
(continua)
 

6 Risposte a “I racconti di Zelig 3”

  1. Anonimo luglio 8, 2010 a 9:54 PM #

    Esatto, oltre alle maleducazioni varie, anche il pressapochismo della specie autori sarebbe da analizzare.
    Se tu vai in una falegnameria e non sei in grado di fare una cornice, il mastro falegname si mette al tuo fianco e ti DIMOSTRA come fare.
    Credo che nella panoramica italiana sia molto improbabile trovare autori di questa taratura.

    • ananasblog luglio 9, 2010 a 10:40 am #

      E’ il sistema che produce pressapochismo, anche un mastro falegname potrebbe fare poco… certo poi bisogna “saper fare le cornici”, ci mancherebbe altro!
      La Redazione

  2. hexagonal prism luglio 8, 2010 a 3:31 am #

    Pure style.

  3. Andrea luglio 7, 2010 a 10:37 am #

    Commenti così negativi, nella mia personale esperienza di laboratori, non ne ricordo.
    Però ricordo bene che l’unico metro di giudizio era: “fa cagarissimo” – “fa riderissimo”.
    (pollice verso, pollice recto)
    Purtroppo non ebbi mai risposta alla domanda: “perché?”.

    • ananasblog luglio 7, 2010 a 3:27 PM #

      L’affollamento di comici rende inutile il dare risposte a tutti (come rende inutile l’educazione)

      • Andrea luglio 8, 2010 a 2:27 PM #

        Hum, ebbi più l’impressione di una certa dose di scarsa preparazione da parte dell’autore. E imbarazzo nel non saper replicare sulla “teoria” della comicità.

        E’ evidente che una battuta può venirti fuori anche itintivamente, ma esistono metodi “sicuri” (che si studiano e si imparano) per scrivere un testo comico, con i quali si può fare un mestiere della comicità tale e quale il mestiere del falegname.
        Per ottenere un certo effetto serve un certo strumento, è (abbastanza) matematico.
        Poi, ovvio, il talento, l’intelligenza, l’esperienza, la sensibilità personale sono determinanti nello scrivere un testo migliore o peggiore di un altro…

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