
Un messaggio d’amore e speranza
Sta iniziando un 2014 pieno di incognite, ma anche di speranze e di aspettative, soprattutto per la Nazione Comica che ha attraversato molte stagioni di grande difficoltà. Uno dei nostri leader (forse l’uomo più potente del popolo cabarettistico) ha deciso di lanciare un messaggio di augurio per il prossimo anno e per il futuro in generale. Si tratta di un Gino Vignali (finto) che però è capace di rendersi credibile quanto quello reale. Ecco il messaggio:
Cari amici comici, autori, direttori artistici e maestranze varie, è il Vostro Gino Vignali che vi parla…
Si appresta a cominciare un anno (che sarebbe il 2014) all’insegna della novità e dell’innovassione (che sarebbero le “startap”). Penso di poter annunciare con un certo orgoglio, anche per la vostra soddisfazione, che stiamo lavorando (qui il maiuscolo è d’obbligo) al SUPERAMENTO DELLA RISATA, strumento ormai obsoleto di valutazione e, anche, reazione umana troppo imprevedibile per costruirci sopra qualcosa di concreto e duraturo.
Come sapete io e il Michele e il Roberto (il Giancarlo lo nascondiamo quando ci sono questi incontri) ci vediamo spesso con l’entità denominata “Pier Mediaset in Publitalia che vien da Arcore”. Quando poi torno a casa, realizzo di non averci capito un casso in tutte quelle “curve d’ascolto”, “focus grup”, “target commerciali”, che sembra di essere nel film Yuppies 2 (con Gerry Calà) negli anni ’80, poi pian pianetto, tutto quel marketing commerciale mi entra sottopelle, lo faccio mio e penso: “Qui ci si può ricavare del denaro, urca che praticità!”.
Faccio un esempio: se 4.674.000 telespettatori hanno visto una trasmissione, chi se ne frega se hanno riso? L’importante è che erano 4.674.000, appunto. Se erano lì davanti alla tv avranno avuto i loro motivi. Hanno riso? Quién Sabe. Chi lo sa. No matter. Non importa.
Forse gli piaceva la comica bona, magari il bambino voleva vedere il comico vestito da buffo personaggio e tutta la famiglia è stata costretta a guardare, magari la fiction su Rai 1 era più noiosa. Chi siamo noi per sindacare, indagare, magari sollevare questioni su un gesto privato come il ridere? Magari quei 4.674.000 telespettatori hanno sorriso e basta. Questa è comunque una roba bellissima, commovente, perché un sorriso, come dice il Gino Paoli, ti rimette al mondo.

pupazzetti senza volto: ecco la moltitudine del nostro pubblico
Allo stesso modo, le risate e gli applausi e le standing ovescion registrate tolgono al pubblico dal vivo la necessità di ridere davvero, tanto si aggiusta tutto in post produzione. Se fossimo schiavi di questo moto umano (per esempio: io non rido dall’aprile del 1998, al limite ghigno in modo bonario oppure, male che vada, faccio vibrare la testa emettendo dei soffi rauchi) allora la comicità sarebbe fatta solo di barzellette e di caz*o – f*ga – c*lo – mer*a.
Sono orgoglioso del gelo che hanno provocato certi sketchs che personalmente avevo selezionato (dopo un lungo lavoro di preparazione del Giancarlo, del Carlo, del Federico, dell’Antonio, del Mimmo e del Francesco + altri 24 che adesso non mi vengono in mente), perché vuol dire che c’era qualità. La gente del pubblico è rimasta in silenzio a pensare, cosa che in quest’epoca superficiale e frenetica è di grande valore.

un sorriso dipinto infonde comunque simpatia e serenità
Certo, caro popolo cabarettistico, nessuno ha la pretesa di eliminare la risata, che ci sarà sempre, ma dobbiamo fare in modo di renderla l’opzione secondaria, quella che qualche volta può anche non esserci, che tanto per quella volta non succede nulla. La risata non va mitizzata, adorata, inseguita a ogni costo. Mi auguro che proprio nel 2014 diventi definitivamente un sottoprodotto; che si trovi gioiosamente negli scaffali di qualche supermercato della mente, assieme ad altra mercanzia immaginaria.
Mettiamo, per esempio, che Gennaro Passalacqua (nome di comico inventato, la Bananas S.r.l. è sollevata da qualsiasi danno prodotto a terzi da casi fortuiti di omonimia, foro competente: Milano) arrivi a Zelig e faccia ridere il pubblico dopo che io ho detto “questo qui è scarso”. L’è minga per orgoglio personale, eh! Quella risata mi farebbe perdere prestigio, autorità, carisma. A me che sono tra i capi, quelli che chiudono contratti, consentono che ci siano fatturato, entrate e posti di lavoro. Io porto soldi, altri non so. Vogliamo indebolirmi? Non è il caso.

ci vuole potere ed energia affinché la vita sia splendente
Per questo il Gennaro Passalacqua passa prima dal Francesco, dal Mimmo, dal Giancarlo, così quando arriva a me è già un robottino che, o fa ridere in modo serializzato (il tormentone ripetuto 3 volte, una battuta ogni 20 secondi, andamento del pezzo uguale ogni volta) oppure non fa ridere ma sorridere. Così, qualsiasi cosa faccia è già prevedibile e randomizzabile, capito?
Inoltre non deve capitare qualcuno che scriva cose più brillanti, che facciano ridere di più di quelle che concepiscano i capi (tipo me e il Michele). La creatività non deve mai prendere il sopravvento. Il “siamo tutti amici”, il “siamo intelligenti” deve rimanere racchiuso nei recinti dell’illusione (vedi precedente disastrosa gestione “baristica” di Zelig). Se un creativo idealista prendesse il sopravvento andremmo tutti a sbattere nel giro di poco tempo e, invece di “un futuro”, avremmo “la fine”.
I creativi a un certo punto “decidono di smettere” mentre bisogna andare avanti SEMPRE a tutti i costi; i creativi fanno ciò che piace a loro, invece di fare ciò che porta denaro (le curve di ascolto, lo share, il marketing); i creativi simpatizzano troppo con la “materia prima”, fanno gli amiconi, i compagnoni, mentre le dinamiche impongono che il capo, il nocchiero, il master venga, in fondo in fondo, temuto, detestato e disprezzato.
Il capo deve aver l’autorità, la faccia, il suo bel carisma di poter scegliere sketch meno divertenti ma che accontentino, per esempio, la committenza. Questa è una cosa che il creativo (a meno che non si converta almeno un po’ a una sana str…aggine) non farà mai con la dovuta convinzione.
La risata può indurre nel peccato di orgoglio: “faccio ridere = sono indipendente da LORO”. Loro (che siamo noi) devono esistere, invece, al di là dei folli propositi d’indipendenza del comico che fa ridere. Anche per questo la “non risata” è come un balsamo che lenisce, ridimensiona i progetti d’egocentrismo del comico. Un’esperienza avvilente ci dev’essere sempre, se non c’è occorre provocarla.
Talvolta mettiamo dei comici “fuori ruolo”, non per incompetenza, ma per far loro capire, tramite esperienza diretta, che sono fallibili, che devono rimanere umili, schisci, con quella giusta dose di insicurezza che ci rende umani e pieni di tutte le nostre belle debolezze. Se ogni tanto mandiamo allo sbaraglio una Teresa, un Forest, una Paola, a “prendersela nei denti”, lo facciamo per il bene comune (nostro e di loro).
Quindi, caro, amatissimo popolo cabarettistico, rinnovo gli auguri di un felice anno nuovo a voi e ai vostri cari (e anche all’umanità intera) e che il 2014 vi renda un po’ più liberi dall’orrida schiavitù della risata. Io farò di tutto per aiutarvi a farlo.
Vostro Gino Vignali
2 Risposte a “Discorso alla nazione comica di Gino Vignali”