Proprio alla vigilia di ferragosto, il governo varava la manovra di risparmio col decreto legge 138/2011 (poi è successo di tutto, una confusione pazzesca che non si è ancora risolta). Però la cosa interessante è che in quel decreto era contenuta, all’articolo 11, una regolamentazione degli stage (o tirocini). Leggi l’articolo su ilfattoquotidiano.it.
L’intenzione è quella di mettere un freno agli stage selvaggi usati spesso come fonte di produzione a basso costo, come fonte infinita di precarietà e sfruttamento, per favorire invece la creazione di nuovi posti di lavoro. La normativa sta creando notevoli difficoltà d’applicazione (leggi articolo su repubblicadegli stagisti.it)
Sorvolando sulle difficoltà e le incongruenze, i punti considerati positivi sono:
“Il primo: stage solo ed esclusivamente per studenti, categorie svantaggiate (disabili, invalidi, tossicodipendenti, alcolisti, carcerati), neodiplomati e neolaureati.
“Il secondo: per chi ha conseguito il diploma o la laurea, possibilità di essere presi in stage limitata ai primi 12 mesi dalla fine degli studi: dopo questo periodo, l’inquadramento andrà effettuato con un vero e proprio contratto.
“Il terzo: stage lunghi al massimo sei mesi e durata superiore, sempre per un massimo di un anno come già prevedeva la norma precedente, permessa solo per i tirocini “curriculari”.
“L’intento dichiarato del ministero del Lavoro è quello di ridurre l’utilizzo dello stage, favorendo al contempo l’assunzione tramite contratti veri: tra cui, per i giovani, il famoso contratto di apprendistato, tutelante per il lavoratore e conveniente per l’azienda, che però negli ultimi anni ha stentato a decollare – forse proprio per la concorrenza sleale di altre forme più vantaggiose, come il co.co.pro e lo stage.”
Siamo lontani anni luce dal mondo rattrappito del cabaret, in cui ci si è inventati lo stage perpetuo, che non porta lavoro, ma che diventa “il lavoro”.
Ananas Blog (è un lavoro pulito, ma qualcuno lo deve fare)